I livelli di impegno e produttività sono sempre più bassi, mentre aumentano lo stress e i casi di burnout. Questo quadro poco incoraggiante riguarda anche i lavoratori e le lavoratrici più qualificatǝ, che fanno parte di organizzazioni attente al loro benessere e che hanno accesso a un buon livello di flessibilità. A ciò si aggiungono l’incertezza economica, la “minaccia” dell’intelligenza artificiale e un diffuso senso di solitudine legato all’esperienza lavorativa. Come reagire?

Non c’è mai stato momento più adatto di questo per “ri-umanizzare” il lavoro, riscoprendo le qualità umane che lo rendono qualcosa di più di una serie di sterili scambi tecnologici o di una corsa all’efficienza. È necessario restituire a lavoratori e lavoratrici curiosità, creatività e umanità.

Questo difficile compito spetta soprattutto a chi ha un ruolo di responsabilità: le variazioni del morale del team, delle prestazioni e dei comportamenti organizzativi critici, infatti, dipendono per il 30-40% dal modo di agire dei e delle leader. Ecco tre principali aree su cui i e le manager possono intervenire:

  1. Rivitalizzare
    In presenza di condizioni avverse, il morale e le prestazioni del team calano: chi guida dovrebbe dare energia e motivare. Per riuscirci, è utile riunire le persone intorno a uno scopo, ricordando costantemente come il lavoro di ognuno contribuisca all’obiettivo comune e come i risultati passati si colleghino a quelli futuri. È importante anche incoraggiare i legami sociali e rievocare spesso la storia condivisa del team. A livello pratico, è consigliabile ribadire spesso gli obiettivi condivisi, chiedere alle persone cosa è importante per loro, invitarle a esplicitare come il loro lavoro contribuisce ai risultati collettivi e a sottolineare come il contributo altrui le aiuta nel quotidiano.
  2. Rimediare
    I e le buonǝ leader aiutano la squadra a imparare dai propri fallimenti. A questo scopo è fondamentale promuovere la sicurezza psicologica ed essere trasparenti mostrando le proprie vulnerabilità, parlando apertamente dei propri errori e modellando una visione del fallimento come occasione di apprendimento. Un modo semplice per capire se stiamo agendo bene è esaminare il rapporto tra le buone e le cattive notizie che riceviamo da collaboratori e collaboratrici: se le cattive sono meno di 2 su 5, probabilmente c’è qualcosa che non ci stanno dicendo. Operativamente, incoraggiamo l’analisi retrospettiva chiedendo alle persone di ragionare su ciò che hanno fatto e sui risultati ottenuti, e a chiedersi cosa avrebbero potuto fare diversamente.
  3. Rifocalizzare
    È fondamentale aiutare il team a individuare le priorità: spesso diamo per scontato che siano chiare, ma non è così. È improbabile peccare di eccessiva comunicazione, mentre è molto frequente che si comunichi troppo poco e con scarsa chiarezza, soprattutto se ci si lascia frenare dal timore del conflitto e si evitano le conversazioni difficili. Una buona idea è terminare (o iniziare) ogni anno con una riunione strategica di allineamento sugli obiettivi critici. Durante questo incontro e anche nel quotidiano abituiamoci a chiedere al team: cosa possiamo smettere di fare? Cosa possiamo fare meglio? Quali sono gli elementi essenziali che ci permettono di portare a termine il lavoro che riteniamo significativo?

Ricordiamo, infine, che la nostra capacità di dare energia alla squadra dipende dal nostro benessere: non possiamo rivitalizzare, rimediare e rifocalizzare se siamo noi stessǝ ad avere il morale a terra e ad essere demotivatǝ. Partiamo da noi!

Leggi l’articolo di Amy C. Edmondson e Tomas Chamorro-Premuzic su hbr.org