Non è raro che un/una top performer venga promossǝ a un ruolo manageriale ma non riesca a ottenere il meglio dal suo team. Spesso le persone credono che basti dare l’esempio lavorando duro e imponendo a collaboratori e collaboratrici gli stessi ritmi che hanno scelto per sé stessǝ. Si tratta di un approccio che lo psicologo Daniel Goleman definisce “battistrada”, che però in molti casi si rivela inefficace. Mentre alcune persone all’interno del team potrebbero riuscire a stare al passo, infatti, altre potrebbero rimanere indietro o fare resistenza, danneggiando le prestazioni complessive della squadra.
Alla base di questo tipico errore manageriale, c’è una differenza tra le fonti di motivazione delle persone coinvolte. Il/la manager potrebbe essere motivatǝ da un senso di competizione innato o da una forte sensibilità agli obiettivi di carriera, mentre all’interno della squadra potrebbero esserci persone spinte da fattori diversi, legate alle loro ambizioni, valori e obiettivi individuali.
Imporre un ritmo troppo elevato può esasperare le differenze ed erodere la fiducia verso il/la manager. Inoltre, può essere controproducente anche per chi ha il ruolo di guida, in quanto si sentirà meno propensǝ a delegare – se non alla cerchia ristretta di chi condivide il suo stesso modo di lavorare – e più incline a cedere alla frustrazione e a dare un numero eccessivo di feedback correttivi.
Un approccio migliore consiste nell’approfondire ciò che davvero motiva la squadra, ponendo a collaboratori e collaboratrici tre domande che riguardano passato, presente e futuro:
1. Guardare indietro: cosa hai realizzato?
Chiediamo alle persone che cosa sono orgogliose di aver realizzato negli ultimi 4-6 mesi e cosa le fa sentire fiere di quel risultato. In questo modo capiremo cosa amano fare e anche cosa le motiva in quel tipo di attività. In particolare, concentriamoci sulle componenti che, secondo la teoria dell’autodeterminazione (SDT), guidano la motivazione intrinseca:
- Competenza: secondo la SDT, la soddisfazione che proviamo quando superiamo una sfida e otteniamo buoni risultati ci fa sentire più competenti e, di conseguenza, più intrinsecamente motivatǝ.
- Autonomia: se collaboratori e collaboratrici apprezzano il fatto di aver portato a termine delle attività da solǝ, probabilmente sono motivatǝ dall’autonomia.
- Connessione: le persone possono essere spinte non tanto dal tipo di attività, quanto dal senso di appartenenza che si genera nel portarla a termine insieme ad altrǝ.
Inoltre, anche se questo fattore non è incluso nella SDT, ricordiamo che moltǝ di noi sono motivatǝ dal lavoro significativo e con uno scopo.
2. Pensare all’oggi: cosa ti ostacola?
Buona parte del lavoro di guida consiste nel rimuovere gli ostacoli che bloccano il potenziale delle persone. Chi ha un ruolo di responsabilità spesso evita di fare domande su questi ostacoli, perché teme di non poter risolvere i problemi sollevati o di dare il via a una sequela di lamentele, ma dobbiamo ricordare che non sempre le persone si aspettano una soluzione. Un primo passo importante è quello di dimostrarsi apertǝ all’ascolto e chiedere “cosa possiamo fare secondo te a riguardo?”.
3. Guardare avanti: cosa ti piacerebbe fare di più?
Come manager, non dobbiamo soddisfare ogni richiesta, ma porre i giusti quesiti per capire come rendere il lavoro di ogni persona più interessante e motivante, favorendo il job crafting, che permette di attuare piccole modifiche per adattare al meglio il ruolo alla persona che lo svolge.
Ricordiamo che, se queste domande vengono poste a fine anno, durante una revisione delle prestazioni, potrebbero essere viste come un modo tardivo di fare ammenda per degli errori di gestione. È meglio programmare degli appositi momenti one-to-one. Inoltre, è utile anticipare le domande via mail e fare in modo che queste conversazioni non siano casuali e sporadiche, ma avvengano in modo costante nel corso dell’anno.