Cosa dice di importante questo libro
Nel suo libro precedente, Organizzazioni senza paura (Angeli, 2020), Amy Edmondson aveva mostrato come la condizione di sicurezza psicologica di un team fosse positivamente correlata con le sue performance. Quando in un team, per rispondere a richieste pressanti ed esigenti, ci si aiuta vicendevolmente, si includono e valorizzano la diversità, ci si approccia in maniera proficua con l’errore e si può contare su un dialogo aperto (le quattro dimissioni da cui la Sicurezza psicologica è alimentata), non solo si raggiungono risultati eccellenti, ma lo si fa mantenendo un buon livello di benessere e sviluppando apprendimento e innovazione.
In un mondo caratterizzato da interdipendenza e velocità di cambiamento, la possibilità di apprendere è vitale per la sopravvivenza, delle persone così come dei business. Apprendere significa inoltrarsi in territori inesplorati, dove l’errore e il fallimento sono più la regola che l’eccezione: ecco perciò che il nostro rapporto con l’errore, a livello individuale prima ancora che di team, diventa cruciale. E se è ormai il fatto che l’errore sia inevitabile quando si sperimenta, questo non significa che ci si vada incontro a cuor leggero, quasi ricercandolo, né che si sappia come usarlo per sviluppare apprendimento per sé e per gli altri. Eppure è proprio questo che è utile oggi: usare il fallimento come elemento di apprendimento e di sviluppo, anche per fallire meno.
C’era bisogno di un intero libro per parlarne? Sì, per una serie di motivi, tra cui:
- fare chiarezza: Edmondson non asserisce che “fallire è bello” in assoluto. Suggestionat* da slogan come “fail fast, fail often”, possiamo pensare che sbagliare vada comunque sempre bene, che possiamo allentare la guardia sui controlli. Al contrario, Edmondson ci ricorda che alcuni errori sono negativi, e che tragici o innocui che siano, possono e devono essere ridotti.
- perchè è un tema che ci tocca tutt* indistintamente: “errare humanum est” dicevano già gli antichi, l’errore e di conseguenza il fallimento sono elementi che caratterizzano inevitabilmente l’esperienza di ognuno. Ciò che fa la differenza è soprattutto cosa ce ne facciamo dei fallimenti e degli errori, in modo da non diventare “diabolici” perseverando, ma da imparare ed evolvere.
- perchè il tema è molto complesso e non affrontabile con semplici “ricette” di management. Infatti, nonostante tutt* noi sbagliamo, tendenzialmente nessuno ha una buona relazione con l’errore, per motivi emotivi, culturali e strutturali. Occorre quindi intervenire a tutti e tre i livelli per trasformare il fallimento in un’occasione di sviluppo.
Attraverso numerosissimi esempi pratici, tratti sia dall’esperienza personale sia dalla cronaca (l’esplosione dello Space Shuttle Columbia il 1 febbraio 2003, i disastri aerei dei due Boeing 737 MAX del 2018 e 2019, il naufragio della petroliera Torrey Canyon nel 1967, tra gli altri), Edmondson ci mostra come gestire i fallimenti “di tipo giusto” e minimizzare quelli da evitare, agendo sia su sistemi e strumenti, sia -prima di tutto- sull’approccio mentale all’errore di ciascuno di noi. E questo penso sia uno dei punti fondamentali: il cambiamento parte da noi. E’ un cambiamento possibile. Ed Edmondson ci mostra step by step come farlo.
Citazioni
Learning from failure is not nearly as easy as it sounds. (…) If we want to go beyond superficial lessons, we need to jettison a few outdated cultural beliefs and stereotypical notions of success. We need to accept ourselves as fallible human beings and take it from there (p 18).
Failing well is hard for three reasons: aversion, confusion and fear (p 25).
It starts with curiosity. Elite failure practitioners seem to be driven by a desire to understand the world around them (p 70).
Fostering a healthy attitude about human fallibility is the first and possibly most important step for helping us catch and correct mistakes. But to complement and support these behavioral practices, implementing failure prevention systems can dramatically increase your chances of success (p 112).
Systems, rather than individuals, produce consequential failures…It (…) helps us to focus on reducing failure by changing the system rather than by changing or replacing an individual who works in a faulty system (p 144).
We just have to learn a new way of thinking – one that favors learning over knowing (p 169)
Mastering the science of failing well must therefore start with looking at ourselves. Self awareness is the first, and most vital, of the three competencies we need to develop. The other two, situation awareness (…) with system awareness immediately following, can only be developed when we give ourselves permission to keep learning (p 197).
Struttura e contenuti
Il libro è diviso in due parti, entrambe volte ad affrontare ciò che impedisce di fallire “nel modo giusto”: l’avversione, la confusione e la paura.
La prima parte è dedicata soprattutto a dissipare la confusione: attraverso numerosi esempi, schemi e spiegazioni, Edmondson chiarisce le caratteristiche e le differenze dei cosiddetti “archetipi” del fallimento (errori di base, complessi e intelligenti), evidenzia il ruolo che ha il contesto nel caratterizzarli, e mostra come sia possibile in tutti e tre i casi ottenere dei vantaggi se li si affronta con metodo e intenzionalità. Questo ci aiuta anche a diminuire la nostra avversione verso i fallimenti, almeno a livello razionale.
A maggior ragione l’avversione e la paura sono affrontate nella seconda parte, in cui Edmondson illustra come agire concretamente per sviluppare le tre competenze necessarie a “fallire nel modo giusto”: consapevolezza di sé, consapevolezza del contesto e consapevolezza della situazione a livello sistemico. Anche qui vengono introdotti numerosi esempi per comprendere i concetti e, soprattutto, per suggerire concretamente come fare a sviluppare le competenze, al punto che qualcuno, nelle sue recensioni, parla di questo libro come di un manuale di auto aiuto.
Molto interessanti sono anche i rimandi che Edmondson fa alle ricerche e alle indicazioni di altri studiosi dell’apprendimento, della leadership e dello sviluppo personale (ad esempio Carol Dweck, Bréne Brown, Daniel Kahnemann, Chris Argyris), che permettono di dare una cornice ampia e solida alle argomentazioni, e sottolineano come non si possa confinare la tematica all’interno della letteratura “di business”, perché in realtà racconta l’Essere Umano, nei suoi meccanismi di crescita, relazione, apprendimento ed espressione (o meno) del suo potenziale. In sintesi, è facile vedere come cambiare il nostro approccio all’errore non è solo utile e necessario per affrontare le sfide del mercato e del mondo di oggi, ma diventa soprattutto un mezzo per sbloccare le nostre energie e potenzialità e vivere con maggiore leggerezza ed efficacia nella quotidianità.
Conclusioni
Come già Organizzazioni senza paura, anche questo testo ha il pregio di essere scorrevole, interessante e chiaro. Potrebbe perciò apparire più “leggero” di quanto non sia: la semplicità del linguaggio, lo stile sorridente e a tratti ironico, l’ampio uso di esempi e di aneddoti riescono a rendere facili concetti complessi, e a tenere assieme un intreccio vasto e profondo di temi che sono in effetti interconnessi, ma che spesso allochiamo ad aree di studio diverse (economia, management, relazioni interpersonali, neuroscienze, intelligenza emotiva…). Può valer la pena perciò ripercorrerlo più volte, inizialmente per comprendere come, dato che “errare è umano”, tutti abbiamo la possibilità di passare dal timore dell’errore alla gestione dell’errore, ottenendone grandi vantaggi. Successivamente, per cogliere nello specifico quali, tra i numerosissimi spunti, strumenti e processi proposti, fanno al caso nostro per iniziare, da soli o con il nostro team, a “fallire nel modo giusto”.