La cultura organizzativa orienta i nostri comportamenti h24, anche quando lavoriamo da soli. per questa ragione è più strategica delle strategie (come diceva Peter Drucker, “la cultura si mangia la strategia a colazione”). Potremmo considerarla un vero e proprio sistema operativo aziendale che, però, raramente viene trattato come tale. Questo articolo vuole rispondere a quattro domande. Perché la cultura è così importante? Perché la sua evoluzione non è nelle priorità aziendali? Come possiamo attivare un processo reale di cultural transformation? Quali sono i vantaggi per le persone e per il business?
Partiamo dalla prima. perché la cultura è importante? Possiamo dirlo con una battuta: perché contiene i codici di comportamento per fare carriera, essere lasciati in pace, non essere buttati fuori dal sistema. Detto in altri termini, nella cultura ci sono le regole non scritte che ci indicano come approcciare gli aspetti più importanti della vita organizzativa. innanzitutto, il rapporto con la gerarchia: come dobbiamo comportarci con i capi? In riunione possiamo fare domande e dire “non sono d’accordo”? E con i colleghi, possiamo parlare con trasparenza? Se abbiamo bisogno di aiuto cosa facciamo? E come ci si comporta con i clienti? Il cliente è un limone da spremere, un’entità a cui rispondere solo se abbiamo tempo o una persona di cui prendersi carico? E quando sbagliamo? Potremmo proseguire, ma la sintesi è chiara. La cultura è importante perché è il vero sistema premiante delle aziende e. in quanto tale, orienta i nostri comportamenti.
Se è così, perché l’evoluzione della cultura non è una priorità costante delle aziende? Ci sono diverse ragioni. La prima è semplice. la cultura è invisibile e quindi non viene assunta come priorità. È più facile cambiare prodotti, processi, tecnologie, strumenti, organigrammi… Questo è un approccio pericoloso. la cultura viene dal passato. Non è mai coerente con i cambiamenti. Riorganizzi l’azienda? Le persone continuano a ragionare e a comportarsi come prima. Il cloud abilita alla collaborazione? Non per questo le persone iniziano a collaborare. In secondo luogo, essendo un prodotto consolidato del passato, la cultura è il totem inerziale del “si è sempre fatto così”, e quindi non sappiamo come fare diversamente. In terzo luogo, la cultura è un tema che non viene mai affrontato con verità.
Leggete i siti delle aziende. Dicono tutti le stesse cose: l’importanza della fiducia, le persone al centro, la sostenibilità… ma questa non è la cultura vera, questa è la cultura dichiarata. Quella vera la esprimono i comportamenti di tutti i giorni. Infine, mettere le mani sulla cultura fa tremare i polsi perché è il collante che ci tiene insieme e quindi, trasformandola, abbiamo il timore di perdere la nostra identità. ma seguire questa paura è poco strategico: nessuna identità è più forte di quella che evolve e tiene il passo con il mondo. La caduta di un’organizzazione è sempre legata ad un sorpasso: il mondo è cambiato, la cultura no. Lasciata a sé stessa la cultura è un sistema che si autoalimenta per inerzia, e si trasforma molto lentamente. Quella di far evolvere la cultura è quindi una scelta strategica intenzionale, razionale, consapevole che deve essere promossa dal vertice aziendale.
Come si attiva un processo reale di cultural transformation? Non possiamo trasformare la cultura sostituendo un dichiarato con un altro. Inoltre, nessun vertice è così potente da determinare la cultura che auspica. La cultura è un prodotto collettivo. Dunque, le chance di trasformazione aumentano significativamente coinvolgendo le persone. Le modalità operative sono diverse ma solo così sentiranno propria la nuova cultura e la metteranno a terra. Soprattutto se verrà alimentata la sicurezza psicologica necessaria per sperimentare nei team e con i clienti prototipi coerenti di nuove prassi quotidiane (ad esempio cambiare il modo di fare le riunioni).
Quali sono i vantaggi per le persone e per il business? L’evoluzione della cultura attraverso il co-design libera moltissime energie positive e consente all’organizzazione di stare al passo con i tempi perché connette Le persone e le loro competenze con la “lunghezza d’onda” e le esigenze dei clienti. una cultura co-disegnata, inoltre, aiuta a percepirsi come comunità generando benefici per le persone e per il business.

Marina Capizzi, autrice di “Non Morire di Gerarchia” (FrancoAngeli)

Da “Il Sole 24 Ore”, mercoledì 24 luglio 2024