L’incertezza causa disagio e, per alcune persone, contribuisce ad alimentare disturbi d’ansia cronici; inoltre, aumenta la percezione di minaccia rispetto a una situazione, come afferma Ema Tanovic, psicologa del Boston Consulting Group di Filadelfia. Perché abbiamo così paura dell’ignoto e quanto questo sentimento influenza le nostre scelte?

In un noto esperimento, i e le partecipanti sono statǝ collegatǝ a degli elettrodi in grado di trasmettere una scossa innocua ma leggermente dolorosa. Chi ha condotto l’esperimento ha monitorato i segnali fisici indicatori di stress, rilevando che le persone risultavano maggiormente in ansia quando c’era una probabilità del 50% di ricevere la scossa, rispetto a quando tale probabilità era del 100%. Non sapere se avrebbero ricevuto la scarica elettrica, in altre parole, risultava più stressante della certezza di subirla.

Non solo l’incertezza ci causa disagio, ma tendiamo anche a evitare situazioni potenzialmente redditizie se comportano un alto livello di imprevedibilità, come mostra un esperimento chiamato “Uncertain Waiting Tasks”, in cui i e le partecipanti affrontano diverse prove con la possibilità di vincere del denaro. I risultati delle prove sono casuali, ma le persone possono scegliere se conoscere immediatamente l’esito oppure attendere qualche secondo; nel primo caso, è prevista una penalità. Sebbene l’opzione più razionale e maggiormente vantaggiosa dal punto di vista economico sia quella di attendere, viene scelta solo dal 37% di chi partecipa.

La ricerca neuroscientifica, ad oggi, mostra che, di fronte all’ignoto, si verifica un’attività particolarmente elevata dell’amigdala che genera uno stato di “ipervigilanza” e ci rende più attentǝ a potenziali rischi. L’incertezza, inoltre, sembra attivare anche la regione cerebrale dell’insula inferiore, preposta alla valutazione delle conseguenze dei rischi, che “gonfia” la stima di eventuali danni.

In passato, questi meccanismi consentivano di prepararsi per tempo a fuggire o attaccare di fronte alla potenziale presenza di predatori. Oggi, tuttavia, il naturale tentativo del nostro cervello di evitare l’imprevedibile può risultare problematico, soprattutto per le persone in cui tali risposte cerebrali si attivano in modo particolarmente intenso. La percezione dell’incertezza, infatti, varia da persona a persona, tanto che esiste una “scala dell’intolleranza all’incertezza” su cui la sensibilità all’imprevedibile può essere misurata. Chi ottiene un punteggio alto su questa scala non solo ha reazioni di stress più accentuate di fronte all’ignoto, ma fatica anche a sostituire le vecchie associazioni di minaccia con nuove associazioni di sicurezza, cioè continua a provare paura anche quando l’incertezza scompare da una determinata situazione. Per queste ragioni, queste persone sono più vulnerabili a disturbi d’ansia e depressione.

La psicoterapia può aumentare la tolleranza all’incertezza: la terapia cognitivo-comportamentale, per esempio, aiuta a ridurre le ipotesi eccessivamente catastrofiche innescate dall’imprevedibilità. Indipendentemente dall’esistenza di patologie vere e proprie, è comunque importante tenere presente che i tentativi di predire il futuro sono, nella maggior parte dei casi, inutili e dannosi. Preoccuparci dell’ignoto, infatti, non riduce l’incertezza, ma ci fa solo sentire più ansiosǝ.

D’altra parte, il disagio di fronte all’incertezza, per quanto spiacevole sul momento, può anche essere fonte di eccitazione e migliorare le performance.

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