Il 90% delle organizzazioni fa affidamento su team multidisciplinari per portare a termine un progetto. Significa mettere insieme una squadra di persone con competenze in ambiti diversi, così che ogni specializzazione sia rappresentata e il progetto possa avere il miglior grado di riuscita complessiva.
C’è solo un problema con questo approccio: spesso i gruppi interdisciplinari non hanno basi comuni su cui costruire il lavoro, mancano i Modelli Mentali Condivisi.
Ce ne parla la Dr. Amy Edmondson nella sua intervista con Sarah Goff-Dupont.
I modelli mentali condivisi sono quella condizione psicologica che permette di diminuire l’attrito tra persone nelle collaborazioni multidisciplinari, allineando i membri del team rispetto al lavoro da fare sul progetto. Il problema è che i modelli condivisi non appaiono dal nulla, devono essere coltivati… potrebbe sembrare una fatica aggiuntiva, ma ne vale la pena, perché permette che il progetto sia completato con successo e nel minor tempo possibile.

Ma cosa sono esattamente i Modelli Mentali Condivisi?
Sono quegli schemi psicologici che ci permettono di interagire con il mondo esterno e con gli altri. Si basano sui pensieri di causa/effetto che permettono di capire meglio cosa avviene nel mondo. Quando due persone condividono gli stessi modelli mentali, allora si troveranno d’accordo nel modo in cui vedono e interpretano i principi che guidano il mondo esterno.

Che effetti hanno nelle performance dei lavori di gruppo?
Nei lavori di gruppo, i Modelli Mentali Condivisi permettono di collaborare più facilmente, perché c’è una comprensione comune e condivisa di quelli che sono i ruoli, le responsabilità, il flusso di informazione e le interazioni all’interno del team. Ne consegue una maggiore armonia nel gruppo.
Inoltre, quando persone provenienti da diverse discipline collaborano con una comprensione condivisa di cosa devono fare, sono in grado di prendere decisione migliori, più precise e rilevanti.

Come costruire Modelli Mentali condivisi in un gruppo multidisciplinare? Edmondson suggerisce 3 esercizi:

  1. Team Health Monitor technique: si tratta di far emergere ogni singolo problema che il team potrebbe avere, incoraggiando i partecipanti a condividere apertamente le loro opinioni. In questo modo i membri del team potranno sentirsi più connessi e meno chiusi. Da qui si possono inoltre prendere azioni per risolvere i problemi venuti a galla che potrebbero impedire la collaborazione. 
  2. Chi fa cosa, e quando: nei team i cui membri hanno compiti differenti si possono creare confusioni in ciò che ci si aspetta dagli altri. Chiarire il ruolo di una persona, quali sono le sue abilità e cosa ci si aspetta da lei è quindi fondamentale per non cadere in fraintendimenti. Alla base dei Modelli Mentali Condivisi c’è quindi la completa chiarezza nei ruoli e responsabilità all’interno del team per evitare mancanze o incomprensioni.
  3. Definire l’obiettivo: la presenza di idee conflittuali su cosa si cerca di ottenere genera errori, tentativi vuoti e risultati scadenti. È quindi fondamentale allineare tutti rispetto a cosa bisogna ottimizzare, cosa è imprescindibile e cosa invece può essere cambiato. Maggiore chiarezza su quale sia il risultato da raggiungere permette al team di prendere decisioni autonome e progredire più rapidamente, proprio perché in grado di riconoscere quale sia la strada giusta da seguire.

 Leggi l’articolo completo di Sarah Goff-Dupont su www.atlassian.com