Il campione di tennis Rafael Nadal compie una serie di gesti sempre uguali prima e durante i match. A chi lo definisce superstizioso, risponde che in realtà si tratta di un modo per “entrare” nella partita, per ordinare la realtà nella sua mente: non è una sorta di incantesimo per vincere, ma un modo per concentrarsi e controllare l’ansia.
Decenni di studi antropologici confermano che le pratiche rituali ci risultano naturali, indipendentemente dalla nostra cultura, e ci aspettiamo che abbiano un effetto positivo. Diversi studi hanno anche dimostrato che, in situazioni di stress, le persone che eseguono dei rituali gestiscono meglio l’ansia: per esempio, una ricerca svolta sugli studenti dell’Università del Connecticut durante il periodo degli esami ha evidenziato che le persone che partecipavano a un maggior numero di rituali avevano livelli più bassi di cortisolo (un ormone associato allo stress).
I risultati di questi studi, però, sono correlazionali, quindi ci aiutano a stabilire un’associazione, non una relazione causale. Un passo avanti in questo senso è stata una ricerca sperimentale svolta in un piccolo villaggio di pescatori sull’isola di Mauritius, nell’Oceano Indiano. Il luogo è popolato da una grande quantità di donne che ogni giorno svolge rituali di natura religiosa, caratterizzati da gesti ripetitivi e offerte alle statue delle divinità. 75 di queste donne sono state divise in due gruppi, e hanno indossato un piccolo monitor per registrare il battito cardiaco. A tutte è stato assegnato un compito stressante, una relazione su come prepararsi a un’alluvione; poi, al primo gruppo è stato chiesto di svolgere i rituali quotidiani, mentre all’altro è stato detto solo di rilassarsi.
Se tutte le donne hanno provato ansia pensando ai disastri naturali, quelle che hanno eseguito il rituale si sono riprese più velocemente ed hanno avuto una variabilità cardiaca superiore del 30%, dato che indica una migliore gestione dello stress; anche le valutazioni soggettive dell’ansia erano più basse del 50%.
Questo succede perché il nostro cervello funziona in modo predittivo, cioè non assorbe passivamente informazioni sul mondo, ma prevede attivamente quale situazione deve affrontare, basandosi su esperienze e conoscenze, sull’interazione con gli altri, sulla lettura del contesto. Per esempio, una vibrazione in un luogo a rischio sismico induce a pensare a un terremoto e a scappare, mentre se siamo vicino a una ferrovia la colleghiamo al passaggio di un treno e non ci allarmiamo. Il nostro cervello non smette mai di fare questo tipo di previsioni e quindi di creare modelli e regolarità statistiche intorno a noi: questo ci rende molto più efficienti nell’apprendimento, ma fa anche sì che situazioni ad alta incertezza ci causino ansia.
Quando le persone sperimentano incertezza, inoltre, tentano di compensare la mancanza di controllo in un ambito cercandolo in altri contesti: i rituali ricoprono proprio questa funzione di controllo compensativo. Non importa che il senso di controllo sia illusorio, quello che conta è che funzioni come sistema di coping efficiente. I rituali diventano così “gadget cognitivi” che ci aiutano a gestire lo stress, permettendoci di sfruttare al meglio il nostro potenziale.
Funzionano tanto più quanto meglio sono strutturati: la loro forza risiede nelle qualità di rigore (esecuzione corretta) ripetizione e sovrabbondanza (durata). Questo li rende prevedibili, ed è la loro prevedibilità che mette ordine nel caos e aiuta a ritrovare un senso di controllo in situazioni incontrollabili.