Marina Capizzi > La bravura degli altri

L’Impresa Online, Gruppo24ore, 17 dicembre 2013.

Nell’articolo precedente (“Da dove viene la bravura?”) abbiamo affrontato la bravura come il “ gesto” individuale che trasforma i nostri asset personali (attitudini, valori, motivazioni) in comportamenti competenti per raggiungere prima e meglio il risultato che ci proponiamo. In effetti, la valorizzazione dei propri asset è il primo – ineludibile- movimento di generazione della bravura. Ma nell’epoca che stiamo vivendo non basta più.

Il mondo sta cambiando e a tutti noi è richiesto di modificare i nostri approcci mentali e di far evolvere le nostre capacità per trovare nuove vie. Affrontare questa trasformazione da soli, per quanto bravi, abbassa molto le possibilità di successo. Questo vale per i team di vertice che guidano le aziende, per gli imprenditori che vogliono crescere, per le persone che avendo perso il lavoro o che affacciandosi al mondo del lavoro cercano nuove fonti di reddito, per gli insegnanti che vogliono fare la differenza nonostante le scarse risorse disponibili… In tutti questi e in molti altri casi non basta più puntare solo sulla nostra bravura perché approcci diversi richiedono anche competenze e capacità diverse e soprattutto richiedono la loro integrazione rispetto a uno scopo.

La bella notizia è che, grazie anche alle nuove tecnologie, le possibilità di accedere alle competenze e alle esperienze altrui sono enormemente aumentate. È facile intercettare nuovi stimoli, collegarsi ed entrare a far parte di esperienze avviate da altri. La bravura degli altri è ovunque, immediatamente alla portata e il più delle volte è gratis. Non sta solo nel web ma anche nelle pieghe della quotidianità: un buono spunto nel mezzo di un discorso che non condividiamo, una spiccata capacità che noi non abbiamo, le solide competenze di qualcun altro su una materia che non abbiamo coltivato.sta in quel meccanismo semplice e magico per il quale “un’idea tira l’altra”.

Che cosa ci impedisce di utilizzarlo appieno?

Vale da dire che le barriere siano soprattutto mentali. Il voler vincere da soli, la paura del confronto, l’invidia, il timore di perdere importanza o potere, la preoccupazione di non essere riconosciuti, sono tutti approcci che isolano. Ma, probabilmente, c’è anche un’altra ragione. Forse siamo poco capaci di articolare in modo virtuoso le competenze nostre con quelle altrui perché questo “incastro” non è mai stato una priorità, neanche metodologica: non ci pensiamo, non ne percepiamo la convenienza e quindi non abbiamo imparato. In sintesi, non siamo abituati a pensare alla bravura degli altri come a una risorsa.

Eppure quando lavoriamo ci rapportiamo continuamente con gli altri attivando dinamiche che possono renderci più o meno efficaci, individualmente e collettivamente. Di solito siamo molto attenti alle dinamiche relazionali: guardiamo quanto gli altri ci considerano, quanto ci sono simpatici, quanto ci sentiamo in sintonia con il loro carattere ecc… Ma, lavorando, mettiamo in atto anche dinamiche fra competenze. Le dinamiche che si creano tra una persona molto sintetica e una molto analitica, tra uno specialista che sa tutto di una determinata materia e qualcuno che è bravissimo nell’organizzazione o nel vendere non sono solo dinamiche emotive ma sono – forse prima di tutto – dinamiche tra inquadrature diverse, tra modi di pensare, tra saperi e logiche differenti, tra priorità molteplici da presidiare. Vista in questo modo, la bravura degli altri diventa una risorsa da “incastrare” con la nostra bravura, come i pezzi del Lego, usando il rigore e la libertà che un bravo architetto mette nelle sue costruzioni.

Ci chiediamo se questa concezione della bravura come prodotto collettivo potrebbe cambiare il significato della parola “appartenenza”.

Ne parleremo nel prossimo articolo…