Il genere umano sta attraversando una crisi globale, probabilmente la più grande crisi di questa generazione, e le decisioni che verranno prese dai cittadini e dai governi nelle prossime settimane condizioneranno le sorti del mondo dei prossimi anni. Dal momento in cui quando pandemia finirà, e la maggior parte di noi ne uscirà indenne, ci troveremo a vivere in un mondo diverso. Questa è la vera natura delle emergenze: aumentano la velocità dei processi storici, trasformando i processi decisionali che normalmente durerebbero anni in decisioni prese nel giro di poche ore. 

In questo momento di crisi, ci si trova davanti a due scelte principali: la prima è quella tra l’attuazione di una sorveglianza totalitaria o il coinvolgimento dei cittadini. Nella lotta contro il coronavirus, molti governi hanno studiato strumenti di sorveglianza e di monitoraggio dei cittadini, con un conseguente schema di punizioni per i disobbedienti. Questa crisi potrebbe aprire la strada a una nuova frontiera della sorveglianza statale, passando ad un livello di sorveglianza “sottopelle”, riguardante malattie e parametri vitali. Gli algoritmi dei governi potrebbero venire a conoscenza delle malattie dei cittadini prima ancora dei diretti interessati, e potrebbero ricostruire i loro contatti umani e i loro spostamenti. Oltre agli aspetti medici, gli algoritmi potrebbero fornire informazioni sui sentimenti e intervenire nelle nostre volontà di scelta e nei nostri comportamenti di acquisto. La sorveglianza statale in tempi di COVID-19 è certamente da considerarsi temporanea, ma la storia insegna che le misure temporanee hanno spesso la cattiva abitudine di durare nel tempo. Nel cercare un’alternativa a questi sistemi di sorveglianza, si viene posti davanti alla scelta tra salute e privacy, ma in realtà si tratta di una scelta fasulla, dal momento in cui dovremmo essere in grado di proteggerci dal coronavirus senza istituire regimi di sorveglianza totalitari ma piuttosto incoraggiando e dando i giusti strumenti ai singoli cittadini, come è successo in Korea del Sud, Taiwan e Singapore. In questi paesi, infatti, i cittadini sono stati incoraggiati a sottoporsi ai test e a riportare pubblicamente informazioni utili e i Paesi si sono affidati alla volontà di cooperazione dei cittadini, persone informate sui fatti scientifici e che si fidano delle autorità che pubblicano queste informazioni. Un popolo ben informato è più potente di un popolo diligente ma ignorante. È necessario generare fiducia tra cittadini, scienza, autorità pubbliche e media. Sarebbe quindi più conveniente lavorare a questo senso di fiducia, piuttosto che ad un regime di sorveglianza. Il coronavirus può essere un’opportunità per mettere alla prova il senso di cittadinanza, e per sconfiggere il virus dovremmo condividere informazioni e risorse tecniche e umane a livello globale, in uno sforzo di “umanizzazione” delle linee produttive. 

La seconda scelta è quella tra isolamento nazionalista o solidarietà globale. Se gli stati agiscono in maniera disgregata l’uno dall’altro, il risultato sarà caotico e la crisi aumenterà. Ad oggi, la comunità globale sembra colta da una paralisi collettiva di isolamento nazionalista, e lo dimostra il fatto che se durante le precedenti crisi globali (crisi del 2008 ed Ebola 2014) gli Stati Uniti hanno assunto il ruolo di leader, di questi tempi la loro amministrazione ha abdicato a questo titolo e ha dimostrato di tenere più alla grandezza della nazione che al futuro dell’umanità, cercando di comprare il monopolio su un vaccino. Ogni crisi è sicuramente un’opportunità, e possiamo sperare che la pandemia in corso aiuti le persone a capire il pericolo insito nell’essere disuniti a livello globale. Bisogna prendere una decisione: continuare su questa strada o scegliere la solidarietà globale. La disunità prolungherà la crisi e produrrà catastrofi peggiori in futuro, mentre un senso di cooperazione e solidarietà permetterà a tutti noi di vincere non solo contro il coronavirus, ma anche contro le future pandemie e i pericoli che metteranno in crisi l’umanità nel XXI secolo. 

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