Per anni, abbiamo assistito alla diffusione di un visibile bias generazionale basato sull’antipatia verso i millennial, considerati pigri, bisognosi di attenzioni, narcisisti, alla ricerca di una continua guida e di un feedback costante capace di rassicurarli. Ma se andiamo a conoscere veramente qualcuno di loro, se ci lavoriamo assieme, se ci parliamo, scopriremo una realtà ben diversa. Molti atteggiamenti dei millennial sono legati al concetto di lavoro che nutrono: lo considerano infatti come un elemento centrale della propria vita, e non come un’attività secondaria da bilanciare. Ciò che cercano è una professione sfidante, guidata dal proposito e arricchente. Vogliono incontrare nuove persone e acquisire nuove skills. Per questo non esitano a lasciare posizioni e organizzazioni in cui percepiscano una cultura arcaica, e si sentano poco valorizzati o trattati senza rispetto e riconoscimento. I millennial desiderano avere un mentore dal quale trarre ispirazioni ed essere sfidati, lasciandosi guidare e imparando continuamente. In realtà, ciò che vogliono è una guida, una direzione, e questo deriva dal fatto che questa generazione è cresciuta in mezzo all’incertezza economica, ambientale e politica, oltre che nell’era dei progressi tecnologici che hanno contribuito al senso di disillusione che oggi provano verso le istituzioni e i metodi di lavoro tradizionali. Inoltre, i millennial rappresentano la generazione più istruita, informata e incline alla tecnologia nella storia, e di conseguenza hanno sempre sentito la pressione di una forte competizione. Il bisogno di ricevere feedback, poi, deriva dalla struttura dei sistemi educativi, che li hanno spinti a raggiungere obiettivi, a distinguersi, ad andare oltre le aspettative. E’ da quando sono nati che sono sottoposti a coaching, misurazione dei risultati, feedback, ed è solo naturale che si aspettino di ritrovare questa situazione anche sul luogo di lavoro.

Nei prossimi anni, i millennial rappresenteranno più della metà della popolazione dei lavoratori a livello mondiale: se le aziende vogliono attrarre i giusti talenti, devono iniziare a pensare a implementare percorsi di mentoring per i propri dipendenti e a investire nella loro crescita e nel loro sviluppo personale, anche perché in caso contrario i millennial, soprattutto quelli più dotati, se ne andranno. Una ricerca di Deloitte mostra come il 71% di loro è pronto a lasciare il proprio posto di lavoro in due anni se non trova spazio per lo sviluppo delle proprie capacità .

Su quali elementi devono quindi lavorare le aziende per muoversi in queste nuove dinamiche e trattenere i talenti desiderati?

  1. Empowerment: creando dirette connessioni tra dipendenti e management, superando le costrizioni dettate da burocrazia e gerarchia
  2. Supporto: i millennial vogliono poter sviluppare le proprie competenze, per questo hanno bisogno di essere supportati
  3. Guida: i manager che si metteranno in connessione con i più giovani, mostreranno loro strumenti e trucchi del mestiere e creeranno opportunità di crescita, avranno il loro rispetto e la loro attenzione. Il mentoring a due vie, poi, è un’occasione per imparare dalle competenze digitali dei millennial

I millennial vogliono avere la percezione che il proprio lavoro abbia valore, vogliono sentirsi sfidati, ispirati e valorizzati. Per sbloccare il loro potenziale e massimizzare le loro performance è necessario offrire loro dei momenti di mentoring e dare loro la giusta guida.

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