SEGRETA > I dipendenti dovrebbero poter scegliere su cosa lavorare?

Negli ultimi anni le organizzazioni hanno discusso e approfondito diversi argomenti e tematiche, dalla progettazione dello spazio di lavoro, alla digitalizzazione, alla metodologia Agile. Ma oggi c’è un altro aspetto importante del lavoro che viene spinto sempre più in primo piano: la divisione del lavoro basata sulla possibilità di definire in autonomia le attività da svolgere. 

Fino a poco tempo fa, il processo di divisione del lavoro era gestito dall’alto verso il basso, secondo una schema altamente gerarchico. Oggi i lavoratori avrebbero sempre più la possibilità e il potere di assegnare compiti a se stessi, tuttavia sono per lo più ancora i leader a decidere a chi attribuire quale attività, anche nei settori ad alta intensità di innovazione. Evidentemente, entrambi i metodi hanno i loro pregi e svantaggi: sapere quale metodo applicare e quando applicarlo può avere un impatto diretto sulle prestazioni organizzative e sul morale dei dipendenti.

Rispetto all’assegnazione top-down, la possibilità di scegliere da soli i compiti da svolgere  ha il  vantaggio di partire dalla comprensione delle proprie competenze da parte dei dipendenti, che spesso è maggiore di quella che ne hanno i manager. La motivazione, a sua volta, aumenta quando ciascuno è autorizzato a scegliere il proprio lavoro preferito. Meglio allora questo approccio? 

Per deciderlo, occorre andare un po’ più in profondità e studiare anche la qualità dei risultati. Phanish Puranam, professore di strategia e progettazione organizzativa all’INSEAD, e Marlo Raveendran, professore associato di management, hanno costruito un modello matematico e utilizzato la simulazione al computer per esaminare in quali condizioni gli approcci avrebbero potuto godere di un vantaggio relativo. 

Oltre alla visione d’insieme, che un manager può usare per ottimizzare le assegnazioni di obiettivi in base al numero di collaboratori e alle loro competenze, e che spesso il singolo dipendente non ha, emerge un altro elemento dalla ricerca su cui è interessante porre l’attenzione. I dati ci dicono infatti che non c’è in assoluto un metodo migliore dell’altro per il raggiungimento degli obiettivi, ma che a fare la differenza sono le competenze: la possibilità di definire in autonomia le attività da svolgere porta a performance migliori solo quando è data a persone con competenze altamente specializzate. Se le persone hanno competenze moderatamente specializzate, il metodo tradizionale basato sul sistema gerarchico porta a risultati di  gran lunga migliori.

Insomma, anche se la selezione autonoma delle attività attrae e motiva molti, primi tra tutti i giovani, non tutti i compiti o gli assetti organizzativi si prestano ad attivarla. Qualora ci siano le condizioni, ecco alcuni suggerimenti per farla funzionare al meglio:  

  • procedi per gradi, ed eventualmente crea dei vincoli anche quando le persone possono scegliere cosa fare, per evitare che i compiti più sgradevoli vengano tralasciati da tutti, ad esempio suddividendo in maniera equa tra tutti i membri del team le attività più di routine
  • cambia i criteri di scelta, ad esempio incoraggiando le persone a scegliere i compiti in cui possono dare il maggior valore aggiunto anzichè quelli in cui sono più skillati
  • Incoraggia i dipendenti ad intraprendere progetti nei quali credono veramente e che hanno scelto in maniera autonoma 
  • Organizza hackathon regolari in cui chiunque può scegliere e risolvere qualsiasi problema preso da un elenco

Le domande chiave che le organizzazioni dovrebbero porsi sono le seguenti: 

  • I nostri dipendenti hanno competenze altamente specializzate per i compiti da svolgere? 
  • I compiti sono più o meno indipendenti l’uno dall’altro? 
  • È difficile prevedere la disponibilità dei lavoratori? 
  • Se la risposta è sì, allora puoi procedere con il processo di autoselezione. 

Leggi l’articolo completo di Phanish Puranam e Marlo Raveendran su www.knowledge.insead.edu