L’Impresa Online, Gruppo24Ore, 15 ottobre 2013.
Ricoprire un ruolo (barista, insegnante, manager, ministro, operatore di call center, commessa, medico ecc.) significa attivare un sistema di aspettative che deve essere coerente con lo scopo del ruolo. Il caffè deve essere buono, a scuola non si può non imparare, i manager non possono sottrarsi all’assunzione di responsabilità, ecc. Ogni ruolo veicola una promessa.
Anche le aziende rientrano a pieno titolo in questa logica. Un’azienda non può non promettere perché un’offerta, un brand sono una promessa che, in quanto tale, è giustamente valutata dai destinatari in termini di coerenza tra dichiarato e effettivo.
Agganciamo qui il tema sempre più cruciale della reputazione, cioè, della capacità di fare e di dare quello che si promette.
Ma se mantenere le promesse è un tema di credibilità, essere più bravi degli altri nel mantenerle è un tema di distintività. Si distingue chi è più bravo a soddisfare le attese altrui, coerenti con il proprio ruolo, offerta e posizionamento.
Si distinguono le aziende e le persone che mantengono nel tempo le loro promesse meglio dei loro competitor.
Per essere credibili e distinguersi – in una parola, per essere competitivi – non basta il possesso di asset materiali e immateriali (vedi articolo precedente): è necessario che la promessa sia autentica cioè coerente con la nostra identità. Come potremmo mantenere nel tempo una promessa che non sta nelle nostre corde? Ci distinguiamo quando facciamo qualcosa che per noi è davvero importante (valori), lo facciamo volentieri (motivazione) e siamo eccellenti nel farlo (competenze).
Proviamo a togliere anche uno solo di questi ingredienti e subito vediamo che credibilità e distintività vengono messe a repentaglio. Se la nostra promessa appoggia su valori finiti (se quello che dichiariamo non ci sta veramente a cuore), infatti, prodotti, comportamenti, processi renderanno continuamente evidente questo gap e perderanno credibilità; se togliamo la competenza togliamo l’eccellenza, e senza il piacere di fare le cose viene meno l’energia: in entrambi i casi sembra difficile distinguersi!
L’identità è la garanzia e la fonte della distintività. Un’offerta indifferenziata (facile preda della guerra dei prezzi) prescinde, per definizione, da qualsiasi progetto identitario; le persone che nel lavoro si limitano alla mera esecuzione senza metterci del proprio potranno essere credibili ma non si distinguono e sottraggono distintività al sistema più ampio al quale appartengono (perché un caffè non dovrebbe essere un’eccellenza quotidiana per gustare la distintività del made in italy?!)
Rendere distintiva la propria prestazione, essere più bravi è innanzitutto una necessità e, quindi, è innanzitutto una questione di etica.
Ma che cosa determina il differenziale di bravura?
Lo vedremo nel prossimo articolo!