Cosa dice di importante questo libro
Dare to lead è il frutto di più di venti anni di interviste fatte a managers e leaders di aziende di ogni settore, in particolare a 150 C-level sul futuro della leadership. Riprende i temi approfonditi da Brown nei suoi TED talks che l’hanno portata alla ribalta internazionale (la vulnerabilità, la vergogna, il coraggio) e li declina all’interno delle organizzazioni, in particolare osservando come agiscono sui leader, e come questi, diventandone consapevoli, abbiano il potere di cambiare il contesto in cui operano liberando energie, creatività, autonomia, proattività nei loro collaboratori.
Secondo Brown il leader è colui che “si prende la responsabilità di trovare il potenziale di persone e progetti, e che ha il coraggio di sviluppare queste potenzialità”.

Il libro si apre con una domanda, che è anche quella che ha dato il via alle interviste: “cosa deve cambiare nello stile di leadership per avere successo in un ambiente complesso, in continuo cambiamento, in cui dobbiamo affrontare sfide apparentemente impossibili e un’insaziabile richiesta di innovazione?”. Le risposte si sono concentrate soprattutto attorno al tema del coraggio: che però, una volta individuato come concetto, non si riusciva a declinare in competenze o comportamenti specifici. Il lavoro di Brown e del suo team si è focalizzato perciò a definire come agire concretamente il coraggio e come allenarlo, partendo dal presupposto che si tratta di una capacità sviluppabile, e non di un tratto di personalità immodificabile.
Dalla ricerca sono emersi quattro capacità chiave che permettono di agire con coraggio: discutere partendo dalla propria vulnerabilità, creare fiducia, vivere i propri valori nella pratica, e imparare ad affrontare i fallimenti rialzandosi. Capacità profondamente umane, spesso poco valorizzate nello organizzazioni, anzi talvolta francamente ignorate o considerate negative. Ma anche capacità che ogni leader, in quanto persona, vorrebbe poter sviluppare nel corso della propria carriera per poter affrontare le sfide più impegnative e importanti che si trova davanti: la relazione con gli altri, la guida di un team, il confronto con le proprie paure.
Secondo le ricerche di Brown, coraggio e paura non si escludono a vicenda: agire con coraggio non significa far scomparire la paura, ma trovare il modo per governarla. Spesso la soluzione è indossare un’armatura, ma questa alla fine risulta essere la vera barriera al coraggio, perché limita ed inibisce la piena espressione di sé, assorbendo la maggior parte delle nostre energie nella difesa anziché nella crescita. L’alternativa proposta è invece quella di confrontarsi con gli altri facendo leva sulla propria vulnerabilità. Brown usa il termine “rumble”, che in italiano traduce il suono del tuono in lontananza, ma anche il borbottìo di qualcuno che mugugna, per definire una “discussione, conversazione, riunione caratterizzate dall’impegno di stare in contatto con la propria vulnerabilità, rimanere curiosi e generosi” per risolvere i problemi, e intende una posizione in cui si parla ed ascolta “con mente e cuore aperti”. Occorre avere cura di sé per farlo, ma agire questo coraggio è contagioso, e crea contesti un cui non è più necessario difendersi o nascondersi, perché le persone si sentono sicure, viste, ascoltate e rispettate.

Citazioni
The courage to be vulnerable is not about winning or losing, it’s about the courage to show up when you can’t predict or control the outcome.

We avoid tough conversations, including giving honest, productive feedback. Some leaders attributed this to a lack of courage, others to a lack of skills, and, shockingly, more than half talked about a cultural norm of “nice and polite” that’s leveraged as an excuse to avoid tough conversations. Whatever the reason, there was saturation across the data that the consequence is a lack of clarity, diminishing trust and engagement, and an increase in problematic behavior, including passive-aggressive behavior, talking behind people’s backs, pervasive back-channel communication (or “the meeting after the meeting”), gossip, and the “dirty yes” (when I say yes to your face and then no behind your back).

When people are afraid of being put down or ridiculed for trying something and failing, or even for putting forward a radical new idea, the best you can expect is status quo and groupthink.

When something goes wrong, individuals and teams are rushing into ineffective or unsustainable solutions rather than staying with problem identification and solving. When we fix the wrong thing for the wrong reason, the same problems continue to surface. It’s costly and demoralizing.

Instead of spending resources on cleanup to ensure that consumers, stakeholders, or internal processes are made whole, we are spending too much time and energy reassuring team members who are questioning their contribution and value.

Organizational values are gauzy and assessed in terms of aspirations rather than actual behaviors that can be taught, measured and evaluated.

Perfectionism and fear are keeping people from learning and growing.

Struttura e contenuti del libro
Il libro inizia con una parte che ne racconta l’origine e lo scopo: far cambiare il modo in cui si pensa alla leadership e far apprendere almeno un nuovo comportamento significativo in questa direzione.
Seguono quattro sezioni, una per ciascuna competenza alla base della leadership coraggiosa: 

  • discutere a partire dalla propria vulnerabilità
  • vivere concretamente i propri valori
  • creare fiducia
  • imparare a rialzarsi dopo un fallimento. 

Ognuna dettaglia la competenza in comportamenti specifici, è ricca di esempi e propone una serie di attività e strumenti per svilupparla, individualmente o in team. E’ possibile anche accedere al sito www.brenebrown.com  per scaricare ulteriori risorse, oltre a podcast, video, approfondimenti sul tema.
Alla vulnerabilità, che è anche il cavallo di battaglia di Brown, è dedicato più della metà del volume, esplorandone la sua connessione con il bisogno profondamente umano di creare dei legami, vivere in comunità e il conseguente timore di non venire accettati per una sorta di “indegnità” che porta a vergogna e chiusura.
Per Brown la vulnerabilità non è debolezza, è quell’emozione che si prova in momenti di incertezza, rischio ed esposizione emotiva: un contesto sicuro dal punto di vista relazionale può contenere la vulnerabilità, lasciando spazio al confronto, alla diversity e all’innovazione. Lo hanno dimostrato il progetto Aristotele di Google e gli studi di Amy Edmonson, entrambi citati da Brown, che definisce “sicurezza psicologica” la condizione grazie a cui si può esporre la propria vulnerabilità evitando di indossare un’armatura.
La fiducia viene prima della vulnerabilità, e si costruisce attraverso piccoli gesti, piccoli segni nella relazione quotidiana. Per agire con coraggio esprimendo la propria piena umanità occorre infine riconoscere i propri valori ed agirli, perché danno senso e sostanza alle sfide che cogliamo, alle difficoltà che incontriamo, e ci insegnano a rialzarci quando cadiamo, con resilienza e partendo dal riconoscimento delle nostre emozioni.

Conclusione
Il tema della pienezza, della vulnerabilità, del coraggio e della sicurezza psicologica nelle organizzazioni sta diventando sempre più centrale e discusso nelle aziende.
Questo testo, rispetto ad altri, si concentra soprattutto ad un livello personale, individuale, al punto da poter sembrare talvolta un manuale di self help. Ed è anche questo l’aspetto che lo rende stimolante come lettura. Molti sono gli esempi tratti dalle esperienze della stessa Brown, soprattutto in veste di CEO della sua nuova organizzazione, ma anche in veste di moglie e madre, anche se ci sono citazioni, storie e discorsi di altri leader rispetto alla loro esperienza con gli argomenti riportati, ad esempio di Melania Gates.
L’aspetto più interessante, oltre naturalmente ai temi, è la capacità di declinare quelli che sono concetti spesso astratti in comportamenti e competenze, e di indicare numerosissimi modi, strumenti, tecniche per svilupparli, da soli o all’interno del proprio team. Riesce insomma a dare risposta a quella reazione che spesso ci coglie davanti a libri di leadership: “si ho capito, ma ora cosa devo fare in concreto?”.
Si sente invece un po’ la mancanza di casi aziendali in cui osservare come una leadership coraggiosa abbia portato cambiamenti.
La scrittura è molto scorrevole, Brown si conferma una bravissima storyteller, e dallo stile si comprende in maniera istintiva come possa essere una relazione in cui si possa “discutere a partire dalla propria vulnerabilità”.
Nel definire gli obiettivi alla base di questo libro, Brown indica anche il fatto che potesse essere letto nella durata di un volo da Houston a Los Angeles. Direi che ci vuole un po’ più di tempo, perché dopo una prima lettura, che può essere veloce come un romanzo, vale la pena ritornare sui concetti e soprattutto concentrarsi sui metodi proposti per il loro sviluppo, in modo da coglierne appieno il valore e ricavarne indicazioni pratiche da sperimentare.