Per gli esseri umani, l’organizzazione del lavoro è una necessità: nessuna persona possiede tutte le competenze e le capacità necessarie a consentire il funzionamento di una società altamente tecnologica come la nostra. Nelle prime fasi della nostra evoluzione, in effetti, tuttǝ si dedicavano alle stesse attività, che erano quelle necessarie alla sopravvivenza, a cominciare da caccia e raccolta. Dal momento che il cibo procurato da una sola persona poteva sfamarne diverse, però, alcuni individui si sono specializzati in attività alternative, come la creazione di utensili o la cura delle malattie. Questa divisione dei compiti ha migliorato la qualità della vita, ma ha anche reso le persone più dipendenti le une dalle altre, stimolando la cooperazione e spingendo la società a sviluppare un’organizzazione del lavoro sempre più articolata.
Uno schema simile si osserva anche in molte tipologie di insetti sociali, che vivono in colonie numerose e presentano un elevato livello di divisione del lavoro.
Jennifer Ewell, biologa presso l’Arizona State University, ha scoperto che nelle colonie di insetti sociali non esiste una figura di controllo che assegna le attività da svolgere: l’organizzazione del lavoro emerge dall’interazione sociale. Per esempio, Ewell ha studiato una particolare specie di ape sudoripara (Lasioglossum NDA -1), che normalmente vive da sola; quando è costretta alla convivenza in alveari artificiali, però, sviluppa un’organizzazione del lavoro molto rudimentale, basata sulla propensione individuale a svolgere una certa attività rispetto a un’altra.
Le formiche mietitrici californiane (Pogonomyrmex californicus), invece, vivono in società più complesse, caratterizzata da una o più regine. Se un gruppo con una sola regina viene unito a un altro con più regine, la regina normalmente solitaria finirà sempre con lo svolgere le attività più rischiose, mentre le altre si occuperanno di quelle più sicure, come la custodia del nido. Anche in questo caso, quindi, l’organizzazione del lavoro emerge naturalmente, ma non è vantaggiosa allo stesso modo per tutti i soggetti coinvolti.
Gli studi sulle “paper wasps” indiane, infine, hanno confermato che operare una divisione dei compiti su base naturale non conduce necessariamente a comportamenti virtuoso: in questa specie non ci sono differenze anatomiche tra le femmine, e tutte possono sviluppare le ovaie e diventare regine; tuttavia, se due femmine vengono fatte convivere in uno spazio ristretto, si molesteranno a vicenda cercando di impedire lo sviluppo delle ovaie nelle altre, e quindi la loro trasformazione in regine.
La specie che ha portato ai massimi livelli l’organizzazione del lavoro è quella delle formiche, che vivono in colonie estremamente numerose e complesse, e che sviluppano caratteristiche fisiche anche molto diverse a seconda del loro ruolo nel nido. Data la difficoltà di analizzare società così grandi, la biologa evoluzionista Yuko Ulrich e il suo team si sono concentratǝ su una specie particolare: la formica razziatrice clonale. Questa formica si riproduce asessualmente una volta al mese, quindi tutti gli individui sono geneticamente quasi identici. Queste caratteristiche rendono più semplice studiare come si sviluppa l’organizzazione del lavoro in quanto la “società” presa in considerazione cresce costantemente di dimensioni ma non sono presenti altre forme di variazione. Dalle ricerche di Ulrich sulle formiche razziatrici clonali è emerso che, con l’aumentare delle dimensioni della colonia, cresce anche la differenziazione delle attività, che si dividono tra cura delle larve e ricerca del cibo. Il fatto che alcuni individui si dedichino solo alla cura della prole, senza preoccuparsi di procacciare nutrimento, ha favorito notevolmente la moltiplicazione della popolazione.
Barbara e Michael Taborsky hanno invece studiato l’organizzazione del lavoro in una specie di pesci sociali, i ciclidi del lago Tanganica. Se nelle sperimentazioni artificiali sono emerse differenze nella divisione del lavoro basate sul livello di abitudine all’esposizione sociale dei vari esemplari, in natura, dove i ciclidi vivono tendenzialmente in famiglia, a determinare la divisione dei compiti sono di solito differenze, anche minime, di dimensioni e comportamento. Per esempio, i più grandi si occupano di spaventare i predatori, i medi di scavare la sabbia per la covata, i piccoli di pulire e curare le uova.
Tutti questi studi ci mostrano come la divisione del lavoro, in natura, avvenga spesso in modo spontaneo attraverso l’interazione sociale – senza necessità di riunioni, chiamate Zoom e organigrammi – e si basi molto sulle caratteristiche innate degli individui.
Noi esseri umani, però, oltre a vivere in società molto più complesse e avanzate tecnologicamente, siamo anche influenzati da altri fattori come la cultura, l’ambizione, il ruolo. Pertanto, lo studio dell’organizzazione del lavoro negli animali è sicuramente un punto di partenza per comprendere quella umana, ma non ci permette di spiegarla del tutto.
Per approfondire, leggi l’articolo di Tim Vernimmen su knowablemagazine.org