*L’immagine è “Girl With Balloon” di Banksy

 

Nel 2017 Uber era un’azienda di enorme successo e al tempo stesso sull’orlo del collasso reputazionale. Scandali di discriminazione, accuse di molestie, decisioni controverse e uno stile di leadership percepito come arrogante avevano incrinato la fiducia sia all’interno che all’esterno. Proprio in quel contesto Travis Kalanick, allora CEO, incontrò Frances Frei con un atteggiamento sorprendente: non il capo sicuro di sé e spavaldo raccontato dai media, ma un leader umiliato dagli errori e disposto a ripartire da zero. Da quell’incontro prese avvio una riflessione radicale che avrebbe segnato la storia di Uber e offerto lezioni preziose a tutte le organizzazioni: la leadership deve partire dalla fiducia.

La fiducia è il capitale invisibile che rende possibili le relazioni, i contratti e la cooperazione sociale. È ciò che permette di sposarsi, di votare, ecc. Nelle organizzazioni, la fiducia è la condizione abilitante per la performance. Eppure, la narrativa tradizionale della leadership continua a concentrarsi sul leader-eroe: la sua visione, il suo carisma, la sua capacità di prendere decisioni coraggiose. Frei e Morriss ribaltano questa prospettiva: la leadership non è centrata su di te, ma sulla capacità di creare le condizioni perché gli altri possano esprimere pienamente il loro potenziale.

Questa è la logica della empowerment leadership: un leader è efficace non quando tutti dipendono dalla sua presenza, ma quando le persone continuano a prosperare anche in sua assenza o dopo la sua uscita. In altre parole, quando lascia un’eredità positiva e durevole.

 

Per costruire fiducia, i due autori propongono il modello del Trust Triangle, fondato su tre driver:

  • Autenticità: “Sento di avere davanti il vero te”.
  • Logica: “Credo che tu abbia un pensiero solido e la capacità di portarlo a termine”.
  • Empatia: “Sono convinto che tu ti prenda cura di me e del mio successo”.

 

Quando la fiducia si incrina, la causa è quasi sempre una caduta di uno di questi tre pilastri. Ognuno di noi ha il proprio “trust wobble”, cioè il punto debole più ricorrente, che tende a emergere nei momenti di pressione. Riconoscerlo è essenziale per lavorare su di sé e migliorare la propria efficacia.

 

Empatia: il wobble più frequente

Molti leader eccellenti sul piano analitico falliscono proprio sull’empatia. Il segnale più comune è la distrazione: rispondere a messaggi in riunione, mostrare impazienza, abbandonarsi alla noia non appena hanno capito il punto. Questi comportamenti comunicano che il proprio tempo è più importante delle persone presenti. Il risultato è devastante: la fiducia evapora, perché se non mostri interesse per me, perché dovrei seguirti?

La soluzione è radicale: assumersi la responsabilità di far sì che tutti ottengano ciò che serve dall’incontro, non solo noi. Restare presenti, ascoltare fino alla fine, mettere da parte i dispositivi. Solo così l’empatia smette di essere uno slogan e diventa un’esperienza concreta.

Logica: chiarezza prima di tutto

A volte il problema non è la qualità delle idee, ma il modo in cui vengono comunicate. I leader che costruiscono discorsi tortuosi rischiano di perdere il pubblico lungo la strada. Il consiglio di Frei e Morriss è capovolgere il triangolo della comunicazione: partire dalla tesi principale e solo dopo fornire le prove. Questo approccio dà sicurezza, trasmette padronanza e riduce i rischi di incomprensione.

Quando la logica vacilla, inoltre, il rimedio è duplice: tornare ai dati e coinvolgere altri nelle proprie riflessioni. Ammettere di non avere tutte le risposte non riduce la credibilità, anzi aumenta l’autenticità.

 

Autenticità: il coraggio di mostrarsi

Molti leader si nascondono dietro un ruolo, presentando un sé “professionale” diverso da quello personale. Ma senza autenticità non c’è fiducia. Il problema non è solo individuale: riguarda soprattutto i team eterogenei. La ricerca dimostra che i gruppi diversi per background ed esperienze possono addirittura performare peggio dei gruppi omogenei se non gestiti attivamente. È l’effetto “informazione comune”: le persone tendono a condividere solo ciò che hanno in comune, non le differenze.

Ecco perché l’autenticità è cruciale: solo se i membri di un team portano la propria unicità, le diversità diventano un vantaggio competitivo. I team inclusivi – cioè quelli che condividono pienamente il loro patrimonio di conoscenze diverse – superano di gran lunga sia i team omogenei sia quelli diversificati ma non inclusivi.

 

Ognuno di noi ha un punto di fragilità sulla fiducia. Riconoscerlo è un atto di responsabilità: guardare agli episodi in cui non siamo stati creduti e chiederci se è stato un problema di autenticità, logica o empatia. Coinvolgere qualcuno nel processo di diagnosi aiuta a mantenere onestà e prospettiva. Parlare apertamente del proprio wobble con le persone che ne hanno dubitato può persino diventare un potente strumento per ricostruire la relazione.

La leadership non comincia quando gli altri iniziano a fidarsi di te, ma quando tu impari a fidarti di te stesso. Lavorare sui propri wobble significa anche coltivare un rapporto più onesto con sé stessi: riconoscere i propri bisogni (empatia verso di sé), dare valore alle proprie idee (logica) e mostrarsi per ciò che si è (autenticità). La fiducia è la condizione necessaria di ogni leadership trasformativa: solo partendo da sé stessi i leader possono creare ambienti dove le differenze prosperano e lasciare un’eredità positiva.

 

Clicca qui per leggere l’articolo completo di Frances X. Frei e Anne Morriss su Harvard Business Review

**La presente sintesi è stata realizzata con l’IA e rivista dai consulenti PRIMATE.
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