*L’immagine è “Red Carpet Dinner Service” di Banksy
Solo il 21% delle persone si dichiara davvero ingaggiato. Allo stesso tempo, il 42% dei manager dichiara di essersi sentito esausto nell’ultimo mese, con il 50% in più di probabilità di sviluppare problemi di salute mentale rispetto ai colleghi non manageriali. Il quadro è chiaro: da un lato team poco motivati, dall’altro capi sovraccarichi e in burnout.
Il problema non riguarda solo le grandi aziende. In una piccola impresa l’impatto è ancora più immediato: se in un team di cinque persone quattro sono disingaggiati, la produttività crolla e tutto il peso ricade sulle spalle del responsabile. La domanda è allora: esiste un’unica leva che può alleggerire il carico dei leader e riaccendere l’energia dei team? Secondo Claudia D. Thompson, la risposta è sì: la delega.
Delegare non è solo un trucco di time management. Non significa semplicemente spostare compiti dal capo al collaboratore. È molto di più: un atto di fiducia, un voto di fiducia, un messaggio che dice “ti ritengo capace, conto su di te, il tuo contributo è prezioso”.
Perché le persone si disingaggiano
La disconnessione non nasce tanto dalle persone, quanto dal contesto. Micromanagement, mancanza di autonomia, lavoro ripetitivo, poche opportunità di sviluppo e scarsa riconoscenza: sono questi gli elementi che spengono il senso di appartenenza e di scopo. Quando un dipendente non si sente fidato, smette di provare, perché il disingaggio è la risposta naturale a sentirsi sottovalutati.
Perché i manager fanno fatica a delegare
Il paradosso è che spesso i manager credono di aiutare trattenendo il controllo. Temono che il lavoro non venga fatto “nel modo giusto”, pensano di non avere tempo per spiegare bene, o hanno avuto esperienze negative con la delega. Il risultato è che continuano a fare tutto da soli: alimentano il proprio esaurimento e rafforzano nei collaboratori il messaggio implicito “non mi fido di te”.
Delegare bene significa spostare non solo i compiti, ma la responsabilità e l’ownership. È dare alle persone qualcosa che conta, che richiede attenzione, impegno e crescita. Questo tipo di responsabilità porta a maggiore motivazione, cura dei risultati e senso di appartenenza. Non si tratta di riempire il piatto di lavoro, ma di offrire sfide significative che fanno crescere.
Quando questo accade, i benefici sono reciproci: il collaboratore sviluppa nuove competenze e fiducia in sé stesso, mentre il leader può finalmente liberarsi da attività che lo bloccano e concentrarsi sulle decisioni che solo lui può prendere.
Attenzione però, scaricare compiti senza spiegazioni o supporto non è delega. È abbandono.
La delega efficace ha sempre alcuni ingredienti chiave:
- chiarezza di aspettative,
- autonomia reale nel come svolgere il lavoro,
- supporto e check-in periodici,
- riconoscimento del risultato, positivo o meno che sia.
In questo modo, la delega diventa anche occasione di feedback continuo: i compiti delegati creano momenti naturali per confrontarsi, dare guida, celebrare progressi. Feedback brevi e frequenti, molto più efficaci della classica valutazione annuale.
Delegare bene non è solo una tecnica: è un cambio culturale. I team che praticano la delega sviluppano più collaborazione, resilienza e preparazione al futuro. Le persone imparano a prendersi iniziativa, a supportarsi a vicenda, a sentirsi parte di qualcosa di più grande. Questo crea lealtà e stabilità a lungo termine, riducendo il turnover.
E se il team non è pronto?
Molti leader si giustificano dicendo che “il mio team non è pronto”. Ma come saperlo se non è mai stata data la possibilità? La delega non significa lasciare le chiavi dell’azienda dall’oggi al domani. Si può iniziare in piccolo, scegliendo uno o due compiti da affidare con fiducia, fornendo supporto e osservando cosa succede. Spesso i collaboratori sorprendono. E anche quando non tutto va liscio, la pratica fa crescere sia i manager che i team.
La delega non è una perdita di controllo: è il vero strumento per creare fiducia, motivazione e crescita reciproca. In un ambiente dove le persone si sentono stimate e responsabilizzate, l’engagement non è qualcosa da “spingere dall’alto”: emerge naturalmente. E i leader smettono di vivere in modalità “pompieri”, sempre a spegnere incendi, per dedicarsi finalmente a un lavoro strategico, focalizzato e soddisfacente.
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**La presente sintesi è stata realizzata con l’IA e rivista dai consulenti PRIMATE.
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