Marina Capizzi > Il lavoro e la noia: una nuova responsabilità

L’Impresa Online, Gruppo24Ore, 28 marzo 2014.

Guardi l’orologio e il tempo non passa mai. Quello che stai facendo non ti interessa. Ti muovi, fai delle cose, ma tu sei altrove. Si crea una sorta di diaframma fra te, quello che fai, e le persone. Non c’è significato. È la noia, che svuota e abbassa la qualità della nostra prestazione professionale.
Lo stato d’animo contrario lo viviamo quando perdiamo la cognizione del tempo perché ci sentiamo immersi in ciò che facciamo, perché diventiamo quello che stiamo facendo. In questi momenti non ci interroghiamo sul significato perché ci siamo dentro e, senza bisogno di fare appello alla nostra volontà, ci mettiamo del nostro. È una possibile versione della bellezza…
Sembra fuori luogo parlare della noia in un’epoca in cui molti hanno perso il lavoro o sono alla ricerca del loro primo impiego. Sembra strano parlare di questo perché chi ce l’ha, il lavoro, e sta sperimentando l’aumento dei carichi e ritmi che si fanno sempre più frenetici.

Eppure…
La noia accompagna spesso i lavori ripetitivi ma è uno stato d’animo che può sopraggiungere anche quando si svolgono lavori ad alta professionalità.
L’impiegato che non riesce a provare interesse per le pratiche che sta scrivendo o per i dati che sta elaborando, l’insegnante che non vede l’ora che suoni la campanella o che sbadiglia mentre corregge i compiti degli alunni, il manager che dopo aver ascoltato per un minuto inizia a sentire l’ondata di noia che avanza…

Ma perché ci sentiamo “poco interessati”?
Potrebbe essere perché non percepiamo l’utilità di quello che stiamo facendo, non ne intravediamo lo scopo. Questo accade, ad esempio, perché non abbiamo visibilità dell’impatto del nostro lavoro su ciò che è importante nel sistema più ampio nel quale siamo inseriti: a che cosa servono le pratiche? Come le mie analisi miglioreranno il servizio ai clienti, la reputazione e il risultato aziendale? Anche molte riunioni sono noiose perché smarriscono il loro scopo. Si parla, non si arriva da nessuna parte o ci si incaglia su temi di dettaglio…

Potrebbe essere perché ciò che stiamo facendo non ci consente di “stretchare” le nostre capacità: lavoriamo “con la mano sinistra” perché non c’è più niente da imparare e non c’è più spazio per la sfida e per il divertimento. Forse è vero che siamo “imparati” oppure siamo prigionieri di un modo troppo stretto di guardare e vediamo sempre le stesse cose…

Potrebbe essere perché sentiamo che il prodotto del nostro lavoro non è destinato a nessuno: quante persone lavorano avendo chiara l’attività ma non la destinazione?
Non sentendoci in relazione con altri, ciò che facciamo rimane privo di direzione, ed è come se morisse nel momento stesso in cui lo produciamo…

Potrebbe essere perché riteniamo, a torto o a ragione, che non riceveremo nulla di utile per noi da quella situazione, da quella persona che sta parlando, da quel libro che stiamo leggendo…

Potrebbe essere perché tanto sappiamo che non arriveranno mai riconoscimenti del valore di quello che stiamo facendo…

C’è quindi sempre qualcosa che non quadra tra la percezione di utilità, l’uso delle proprie capacità, il sentirsi in relazione con gli altri. Viene da pensare che proprio quando una o più di queste condizioni viene meno, ecco che la noia inizia a dilagare. A patto che noi abdichiamo. Si, perché se non è chiaro lo scopo di ciò che facciamo, potremmo sempre darci da fare per capirlo (se il tuo capo non te lo dice, chiediglielo!).
Se il lavoro non ci consente di utilizzare e di valorizzare le nostre capacità, diventa un atto di responsabilità iniziare a ragionare sul nostro progetto professionale. Se non ci sentiamo in relazione con le persone, non possiamo esimerci dal domandarci quanto dipenda anche da noi…

La responsabilità della noia, naturalmente, sta anche dall’altra parte. Un’azienda con persone che non hanno chiaro lo scopo del loro lavoro e che non ci mettono del proprio non ha grandi chance di aumentare la propria competitività. E difficilmente si distinguerà nella mente dei clienti/consumatori perché, se nel lavoro quotidiano dei suoi dipendenti non c’è un po’ di bellezza, anche il cliente avrà mille occasioni per sperimentare che lui, per quell’azienda, non esiste.
La noia, dunque, è preziosa. Se solo riusciamo ad ascoltarla. Ci dice che dobbiamo capire e agire per andare oltre.